Bach di Pedro Eiras

Il mio interesse nei confronti della letteratura portoghese riguarda soprattutto Pessoa attraverso il quale ho scoperto il poeta Cesário Verde di cui ho tradotto una poesia, qui, senza dimenticare il grande Saramago, ma non mi precludo la scoperta di opere contemporanee come questo Bach dell’autore Pedro Eiras, saggista, drammaturgo e romanziere, uscito in questi giorni in Italia per Il ramo e la foglia edizioni (ringrazio l’ufficio stampa) con il patrocinio dell’università di Firenze, che possa sempre il lavoro accademico essere baluardo di cultura in questi oscuri tempi. È questo un libro che ho trovato interessante e notevole per impianto strutturale e concettuale. Si tratta di un’opera moderna, labirintica e destrutturata, aperta a varie interpretazioni che si potrebbe leggere come romanzo, certamente, ma che sfugge a definizioni categoriche, attenta com’è a costruire, accennare, stimolare tramite l’immaginazione e il ricordo entro un arco di tempo lunghissimo la percezione e dunque la costruzione collettiva del genio musicale di Bach. Il libro si sviluppa in quattordici capitoli che, alludendo a diversi generi letterari, costruiscono un discorso più metaletterario che storico e narrativo.

Ascoltatori, interpreti, biografi, romanzieri, personaggi e fruitori realmente esistiti uniti idealmente nonostante le distanze fisiche e temporali dall’interesse intorno a Bach che rimane ombra, mito, filo conduttore da afferrare ma invisibile, si avvicendano in riflessioni condotte sotto forma di micronarrazioni frammentarie che vanno a intessere un fitto e compatto dialogo polifonico.

Il primo capitolo inizia con la dolce, malinconica e dignitosa lettera in cui Anna Magdalena Bach rimasta nel 1750 nella “dolorosa condizione della vedovanza” chiede al consiglio della scuola dove il marito ha operato una casa per altri sei mesi. Dopo questa prima immersione in tempi antichi, ecco che cambia, letteralmente, la musica: il lettore viene proiettato in una specie di saggio, un testo metanarrativo in cui la voce narrante (l’autore) s’interroga sulla figura di Anna Magdalena esponendo le difficoltà intorno alla natura della scrittura, tema ripreso nel dialogo in terza persona tra due registi francesi responsabili di un film appunto sullo stesso personaggio e tratto dal libro di Esther Meynell di cui si narra nel secondo capitolo. Conversazioni appassionate inserite in un gioco letterario a incastro sottile e raffinato vertono su questioni estetiche, come le difficoltà di interpretare il passato, esistenziali e sociali “gli operai di oggi, gli studenti di oggi, i gruppuscoli, i dibattiti, gli scioperi, le manifestazioni”.

Sono tanti i temi toccati mantenendo sempre al centro musica e musicisti, ma prevalgono le considerazioni metalinguistiche e filosofiche come quelle sul disordine, sui limiti della ragione oppure sull’impossibilità di cogliere il tutto e distinguere il finito dall’infinito dato che “l’infinito è contenuto nel finito; un ornamento si piega tante volte su se stesso: la piega piega la piega, impossibile dispiegarla”.

Con l’alternarsi dei personaggi muta pure il tipo e il tono della narrazione, il registro linguistico e il periodo storico, le ambientazioni, interni ed esterni, la strada. A un certo punto, entrano in scena Martin Lutero e il suo discepolo Philipp Melanchton intenti in un discorso sulla sofferenza e dunque sulle contraddizioni tra fede e dolore proprio mentre la piccola figlia di Lutero sta per morire. E poi, come a spezzare e rompere il dolore insopportabile, ecco un intero capitolo fatto di pagine vuote sotto il titolo di “Ich habe genug…”, silenzio come metafora della morte, lingua che si arrende all’impenetrabile complessità del reale, come la ragione, o ancora come la musica che si appropria dei modi dell’esistente fatto anche di pause, spazi bianchi, non da riempire.

Il libro si chiude con una vera e propria catarsi, un momento di tenerezza tra l’autore e la figlia, che, in simmetria con il tema di Lutero padre, realizza una perfetta circolarità narrativa: ritorna l’affetto, la strada, la Passione secondo Matteo e tutto sfuma con una ninna nanna e la voglia di scrivere di Bach, che poi non è così importante, non come tutto il resto, ciò a cui gira e continuerà a girare attorno, ovvero “storie e teorie”. Libro a mio avviso di grande interesse, non solo per appassionati di musica classica, sebbene ascoltare Bach potrebbe aggiungere qualcosa al piacere di una lettura di per sé proficua.

Immagine in evidenza: Passione di Torino, Hans Memling, 1470-1471 circa, Galleria Sabauda di Torino.

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