Navi nel deserto

Il ramo e la foglia edizioni sta facendo un ottimo lavoro: dopo Bach di Pedro Eiras, leggo questo diametralmente opposto sia nella struttura che nelle tematiche Navi nel deserto di Luigi Weber. I riferimenti dichiarati per me irresistibili, ovvero Joseph Conrad (un «giovane capitano Conrad» è protagonista del libro che chiosa inconfondibilmente: «Sì. Io sono Kurtz»), e poi Melville, ma non mancano suggestioni fantasy e fantascientifiche (Dick) nutrite, suppongo, anche dall’immaginario cinematografico sci-fi anni Ottanta. Non si esita a “vedere” ciò che l’autore mostra, tanti bei quadri assolati, lucenti in cui Naviganti, Pirati, Isolani e Cittadini si contendono una terra inospitale e affascinante ritratta con un’estetica che richiama alla mente forse più Mad Max o L’isola del tesoro che Apocalipse now, ops: Heart of Darkness. Ciò per dire che il nocciolo della materia narrativa di Weber ha un che di vitale e allo stesso tempo morbido che ne costituisce la cifra, credo. L’autore rivela in un’intervista di aver maturato a lungo il progetto di questo romanzo, e ciò di per sé non è né un bene né un male dato che nella scrittura non ci sono ricette infallibili e regole matematiche, a contare è il risultato; vero è che la fretta non depone mai a favore dell’arte e di instant book che valgono il tempo di un caffè siamo sommersi. Pure l’attualità potrebbe essere sopravvalutata, specie quella più sconfortante, a meno di ricavarne angosciosi, seppur ottimi, memoir (si parla di autofiction adesso), di certo non è questo il caso. La suggestione della grande nave/macchina è fulminante, e lo sarebbe anche se io lettrice/scrittrice non avessi scritto a mia volta (spero mi si perdoni l’ego) un racconto ispirato nientedimeno che alla Bibbia, ognuno col suo immaginario, quello di Weber tutto tranne che religioso, dinamico e gioioso com’è, ricco di sogno, viaggi, rocche, oasi e deserti in cui si muovono nomadi pirati e esseri umani allo sbando. Il mondo creato è avventuroso, ma anche altamente simbolico (e quindi realistico) con la riflessione sui vizi comuni a tutte le società umane, ovvero l’intolleranza, l’odio e fin troppo rari squarci di amore, questione posta da Conrad: «come si fa a vivere senza amore? Il cambusiere restò silenzioso, tanto a lungo che Conrad pensò non avesse sentito, poi gli venne il dubbio d’aver fatto una domanda che non andava fatta, infine pensò alla sua risposta muta di prima, e credette che Haldin avesse fatto lo stesso. Invece, alla fine, questi parlò : – Ci sono tanti tipi d’amore, capitano, e tutti giusti allo stesso modo… si ha bisogno d’amore come di mangiare o di dormire, è una necessità fisiologica, e poco importa come la si soddisfa; importa solo essere felici.»     

Niente autofiction, dunque (ammesso che una certa componente autobiografica sia connaturata al carattere soggettivo autoriale), la natura di quest’opera che conduce lievemente il lettore tra quasi 400 pagine è indubbiamente romanzesca. Il tempo dell’azione è concentrato tra fine gennaio e i primi di febbraio, periodo che curiosamente corrisponde al momento in cui io sto leggendo, sotto il segno dell’acquario, proprio come me (di nuovo chiedo venia per reiterato vizio di ego, a patto che mi si riveli, se esistente, la motivazione della data scelta per concludere i giochi: 4 febbraio). Comunque sia, curiosità di lettrice a parte, il succo di ogni romanzo è la storia, coinvolgente qui, e la lingua, in questo caso piana precisa e attenta all’utilizzo di termini corretti tratti da linguaggi specialistici, lingua al servizio di una scrittura visiva, descrittiva, impreziosita da dialoghi non stucchevoli, senza sbavature, che costruisce un piacevolissimo viaggio di fantasia tramite una struttura ordinata in cui si alternano voci e si aprono e restringono punti di vista mantenendo sempre un giusto equilibrio. Un personale tributo al grande amore per la letteratura questo esordio tardivo privo di compiacimenti ombelicali, essendo la materia d’interesse altro da sé, ovvero l’humus culturale sublimato e interiorizzato dallo studioso appassionato di trame e storie, per diletto, immagino, oltre che per professione. Dell’amato e più volte evocato Conrad, si stempera l’orrore e si mantiene l’ardore ottenendo una visione di avventura mentale, fervida immaginazione trasposta con sguardo limpido e cristallino. In conclusione, Navi nel deserto è ciò che definirei, forse banalizzando, ma talvolta è necessario compiere scelte di sintesi e chiarezza, un bel romanzo per tutti: ad avercene, aggiungo, ora che da più parti si grida alla fine della forma romanzo, un vezzo disfattista a cui rinuncio questo di stracciarsi vanamente le preziose vesti a dispetto di paventate crisi e tanto decantata sostenibilità ambientale o culturale. Una storia originale, dunque, nel suo tripudio di riferimenti e una scrittura appassionata e onesta che sa mantenere promesse e premesse. Piacevole per lo spirito e la mente.

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