«Rispettati e fatti rispettare», mi ha detto una volta un poeta che oggi avrebbe compiuto gli anni, e poi ancora «L’omu senza parola è na munnizza». Aveva ragione. Mario Grasso è stato figura di grande siciliano, giornalista, poeta, scrittore, per mia fortuna saggio amico di preziose conversazioni in una delle quali mi manifestò il desiderio che io leggessi questo suo libro: Occasioni (Prova d’autore, 2016). Avrebbe voluto che raccogliessi i miei interventi sulle sue opere in una plaquette, poi però non se ne ebbe più modo di parlare. Intanto, onoro la promessa fatta in merito alla lettura. Queste Occasioni sono momenti di riflessione di carattere giocoso, sprazzi di vita vissuta (o solo immaginata), giochi linguistici in cui l’autore prende il meglio del termine “occasione” rifuggendo invece l’accezione negativa: «Se vuoi salvazione fuggi l’occasione» diceva l’antico riferendosi a quell’eventualità che fa l’uomo ladro. Qua invece solo occasioni positive, opportunità colte al volo che danno vita a una sorta di diario o zibaldone dove compaiono abbozzi critici, lettere indirizzate a qualcuno o a nessuno, personaggi immaginari o letterari come Astolfo sulla luna, emozioni e stati d’animo, a volte quanto di più personale, altre volte pura immaginazione o interpolazioni come annunciato dallo stesso autore in prefazione. L’occasione narrata diventa racconto, memoria, lettura e quindi confronto. Ogni narrazione è contraddistinta da leggerezza, proprio come nelle famose Lezioni americane calviniane qui evocate, guarda caso, una levità ottenuta tramite allegorie, soprattutto. Metafore, analogie e luoghi comuni da deridere e rovesciare abbondano: s’incappa ora in devote pecore smarrite con contraltare di “conte pecoraio”, ora in gufate e gufi di diverse categorie, ovvero comuni, di pantano e reali, quasi a riprendere la celebre classificazione dei tipi umani escogitata dall’autore del Consiglio d’Egitto. L’occasione può essere offerta da un vicino d’aereo erudito con cui intavolare una «dissertazione ammazza tempo» mentre si raggiunge un amico da cui alloggiare all’estero, può essere del tutto fantasiosa, come un libretto d’opera inesistente che ha già trovato un compositore a musicarlo oppure può essere offerta da uno slancio romantico in cui viene concepito uno di quegli amori sognati, agognati, immaginati, mai consumati. Quasi nuclei di romanzi mai scritti alcuni degli spunti più spiccatamente narrativi. Anche la bugia che diventa azzardo, ardimento, intenzione si fa occasione, e ancora la dissacrazione, sebbene ottenuta da semplice rigore storico-filologico, come nella ricostruzione della vera storia di San Valentino, la cui festa dedicata agli innamorati nacque per sostituire i riti orgiastici dedicati al fauno Luperco.
Questa lettura mette di buonumore, esilaranti il ritratto di Branko con le sue «buone lune», irresistibile l’esegesi del racconto biblico delle nozze di Cana che mi piace immaginare applicata a tutto il Nuovo Testamento. L’ironia sottilissima, la finezza dell’eloquio che diverte senza far ricorso a crasse battute rendono letterari anche i momenti più giocondi dell’opera.
Con queste micronarrazioni Grasso si appropria della moda delle scritture brevi e destrutturate tanto in voga con l’avvento dei social essendo in ciò modernissimo. Ritorna in Occasioni la curiosità intorno a nomi e nomignoli (Pasquale, Geppo e Ippa) manifestato in Vocabolario Siciliano, ritroviamo Catania e la Sicilia coi suoi «luoghi del genio», e poi il ricordo di amici letterati: Sebastiano Addamo, Luciano Erba, Carlo Fruttero, Giuseppe Pontiggia o Angelo Fiore autore di quel meraviglioso romanzo Il supplente non celebrato come meritava (ne aveva accennato Mario Grasso nell’intervista che mi ha concesso in Campanili siciliani), del resto «Il sole ha molte responsabilità. Per non dire colpe. Nelle sacre scritture un deterrente forte è quello che ammonisce sui segreti confidati all’orecchio e sulle azioni al buio».
E dunque «La notte vede più del giorno», caro Mario (l’hai ripetuto questo verso pure quando ti ho conosciuto) e chi vede attraverso il buio (ovvero il veggente) non sempre è visto, emblematico il caso del gufo a cui viene ingiustamente attribuita la fama di iettatore.
In questi brani esce fuori la vena satirica di Mario Grasso che non vuole educare, bensì provocare, accendere il dibattito; si può essere o meno d’accordo con le sue posizioni, specie quelle politiche di cui non si fa mistero almeno per quanto riguarda le antipatie, ma gli interventi restano irresistibili. La vis polemica si accende con l’accenno alle tracce sbagliate alla maturità o ancora con il riferimento ai premi letterari, per esempio il Campiello. A tal proposito Grasso dice all’amico Fruttero: «finiamola con questa lagna della letteratura da salvare». Come dargli torto? E non posso che essere d’accordo quando i tanti personaggi ambigui e i gaglioffi vengono apostrofati con un «va suchiti i pruna», detto con rispetto. Ma Mario Grasso non si sofferma troppo su personaggi e situazioni senza spessore, preferisce scovare intelligenze, talenti, tra i giovani specialmente, illuminarne le doti di artigiani della parola ed esortarli a fare come lui, a «riparare bambole», cioè, in quel laboratorio della cultura da cui sono uscite già belle creature, come Lunarionuovo a cui sono fiera di aver contribuito prima dell’altra esperienza di Cespola. La dimensione comunitaria, creare rete, scovare artisti è stata molto importante per Mario Grasso, pur essendo lui un appartato (sebbene non sempre sia facile realizzare il desiderio di restar soli nel momento in cui insorge) di quelli di cui parlava Montale, ovvero gli unici ad aver qualcosa da dire. E in queste pagine tutto ciò è evidentissimo. Per Grasso corpo e parola sono inscindibili come sintetizza affermando «il corpo parla», e le parole hanno corpo, aggiungo io. Tutta questa fervida attività umana, culturale, sociale è condita da un ottimismo assurto a filosofia, anzi, a condotta di vita. Da questo libro Mario Grasso esce per quello che è stato: un gentiluomo d’altri tempi che ha fatto dell’erudizione un nobile modus vivendi, della sua vita una meravigliosa occasione.
Da come ne parli (soprattutto quando scrivi “essendo lui un appartato”) avrei voluto conoscerlo di persona. Lo conoscerò attraverso le sue raccolte. Non è la stessa cosa, ma forse è meglio essendo anch’io un appartato a cui nessun poeta ha detto «Rispettati e fatti rispettare». Grazie di questo articolo che dona speranza a chi scrive poesie che non sarà dimenticato.
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Grazie per il commento. Se posso permettermi “Vocabolario siciliano” (in dialetto siciliano) o “Concabala” poema marino in italiano. Un saluto 👋
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Grazie della risposta e della segnalazione, Giuseppina 🌹. Buon fine settimana🙏
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Prego 🤗
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