Immagino ci siano moltissimi modi per venire a contatto con un libro, io sono stata condotta a questo Bolo (Prova d’autore, 2020) da circostanze curiose, significative. Durante le mie ultime vacanze estive a Palermo, nello stesso giorno in cui uno sconosciuto e profondissimo parrucchiere e un caro amico mi hanno parlato contemporaneamente di Jung (uno mentre si prendeva cura della mia acconciatura, l’altro tramite connessioni virtuali) ho aperto in una pagina a caso (p. 120) questo volume e ho letto: «Quindi mi chiese di raccontare una sincronicità famosa che riguardava Carl Jung». Ecco, io ho appena raccontato la mia.
Con questo romanzo Renata Governali attraverso una prima persona coinvolgente e familiare ci introduce alla storia di una vera e propria iniziazione, metafora di quella ricerca continua che è la vita. La narrazione è condotta con piglio sicuro che si serve di una scrittura pulita e semplice, senza alcun atteggiamento didascalico. Anche i principi espressi appaiono spesso più regole pratiche che astruse teorizzazioni, per esempio l’enunciazione dell’importanza del “qui e ora” oppure il riconoscimento di un maestro interiore, l’umiltà con cui affrontare il cammino. Della voce narrante femminile, a dire la verità, non conosciamo molto. Il racconto si presenta destrutturato, senza una vera e propria trama, ma piuttosto come un incastro di abbozzi narrativi che s’intrecciano e sovrappongono tra di loro. Il vero protagonista è un’entità molteplice, il gruppo sempre in mutamento affiancato dalla guida di un maestro affascinante e a tratti oscuro che interagisce coi personaggi tramite dialoghi filosofici che guardano a Oriente, all’insegna di una saggezza antica che sfugge a una sola tradizione culturale o religiosa o alle regole della società contemporanea di cui però si tiene conto. Le prove a cui si sottopongono gli iniziati costituiscono un apprendistato continuo fatto di sfide misteriose, come attraversare passaggi sottili, tra le colonne del bene e del male, imparare la differenza tra guardare e vedere, ingurgitare cibi non sempre graditi, cogliere le continue rivelazioni offerte dal destino attraverso segni non sempre immediatamente evidenti. Il maestro assume la funzione di spiegare e svelare anche tramite domande che stimolano le riflessioni dei seguaci. Tutto e niente è casuale, ogni incontro, esperienza, evento ha una sua giustificazione e fa parte di un’armonia di fondo che tutti sono stimolati a individuare e rispettare. Le vicende private o collettive, come un normale pranzo oppure un viaggio di piacere, fanno parte dell’evoluzione personale. Il ricorso al plurale ribadisce l’importanza dell’esperienza comunitaria. Ma è sempre così? Non c’è un’unica risposta possibile: “Il percorso spirituale è un viaggio che non si può fare in coppia ma da soli”, eppure nessun uomo vive come un’entità separata, bensì nella relazione. Del resto, nell’universo si compie continuamente il miracolo che fonde il particolare all’universale, che avvicina le creature della terra alle energie celesti, come recita il principio “Come sopra così sotto” di Ermete di Trismegisto. Tra segni, simboli e sincronicità il lettore procede in questo percorso non sempre lineare dilatato nel tempo (sette anni di apprendistato e poi altri cinque) in cui si ribadisce che l’apprendimento è fatto di confronto, teoria e tanta pratica: “per fare innanzitutto bisogna essere”, e viceversa. Non mancano i dubbi che dilaniano, bisogna affrontare i propri demoni e fragilità, soprattutto quelle legate alle relazioni interpersonali, accettare la solitudine, l’abbandono di un coniuge ad esempio, per conquistare fiducia in se stessi, negli altri, in un maestro (“una vera guida spirituale dovrebbe essere la quintessenza della gentilezza, della compassione, del desiderio di condividere la saggezza”), processi insoliti e scelte in controtendenza rispetto a una società dove in ogni attività si tende a perseguire un fine utilitaristico. Molte sono le riflessioni sul senso profondo dell’esistenza, la vita e la morte, la gratitudine che non deve mai mancare. Si procede per contrapposizioni nella ricerca dell’unità, la fede e la ricerca si configurano come scoperta del sé, di quel dio interiore che alberga nell’animo umano, al tempo stesso natura divina e nefes, ovvero soffio vitale. Nelle sincronicità (non sincronismi), coincidenze significative come la vita stessa, si esplica tutta la difficoltà di scoprire un senso, di mettere ordine nella confusione che non fa distinguere neanche i veri bisogni (naturali/fisici) da quelli indotti che ricercano nel mentale la giustificazione alla loro illusorietà e artificiosità. Il sesso, per esempio, spogliato della sua forza creativa viene vissuto come atto difficile. In sintesi, una lettura che parla della possibilità di riconciliarsi con le potenzialità di quella strana creatura chiamata uomo, fatta non solo di abissi ma anche di profondità. Impossibile non pensare a Paulo Coelho (quello de Il cammino di Santiago) o ad Alejandro Jodorowsky, citato nel libro assieme a Castaneda, Steiner, Gurdjeff, Hillmann e altri ancora. Cruciale in questo percorso è proprio quel bolo del titolo che allude alle prove che si è chiamati ad affrontare, bocconi amari da masticare e inghiottire per arrivare a quelle verità non esenti dal dubbio. La scoperta finale sarà tanto semplice quanto preziosa: “Adesso la mia religione è vivere e morire senza rimpianto”.