Una poltrona per due e la banconota di Mark Twain

Il tema della scommessa è stato ampiamente sfruttato nel cinema così come in letteratura. Per il cinema porterò un unico caso esemplificativo, ovvero Una poltrona per due, mentre farò un breve excursus, senza alcuna pretesa di esaustività, delle scommesse letterarie più famose dalla classicità ai giorni nostri. A parte il caso emblematico di Dostoevskij che, per non finire sul lastrico ed estinguere i propri debiti di gioco, costretto da contratto editoriale scrive in un solo mese un libro che parla proprio di gioco (Il giocatore, per l’appunto), se vado a ritroso nel tempo trovo molti altri esempi. In epoca classica, una somma di denaro viene messa in palio per dirimere questioni filosofiche ne La Repubblica di Platone, mentre nella commedia Pseudolo di Plauto il servo che dà nome all’opera scommette di riuscire ad assicurare al suo padrone Calidoro la cortigiana Fenicia, riuscendoci tramite vari inganni e stratagemmi. Nel medioevo racconti a tema si trovano nel Decameron, per esempio la novella sesta (sesta giornata) dove Michele Scalza scommette su quale sia la casata più antica di Firenze, oppure la novella nona (seconda giornata) in cui Barnabò scommette sull’onestà della moglie. Abbiamo poi Shakespeare con la famosa libbra di carne che Shylock dovrà esigere da Antonio in caso di mancato pagamento ne Il mercante di Venezia, oppure in Cimbelino dove, similmente alla novella nona, il personaggio Postumo in esilio scommette con l’amico Iachimo circa la fedeltà della moglie Imogene costretta dal padre (Cimbelino re di Britannia) a divorziare da lui per via delle sue umili origini. Con Pascal si ritorna alla scommessa filosofica, o meglio teologica. Trama vicina al filone delle scommesse sulle virtù femminili presenta il romanzo di Laclos Le relazioni pericolose in cui il visconte di Valmont s’impegna con l’amante marchesa de Merteuil a conquistare la pudica Madame de Tourvel. Nel Faust di Goethe non sarebbe scorretto definire scommessa il patto tra Faust e Mefistofele (proprio come nel libro di Giobbe). Facciamo un gran balzo in avanti e troviamo in Post Office e altri romanzi di Bukowski grande attenzione per le scommesse sulle corse dei cavalli. Pure in Il fu Mattia Pascal compare un momento dedicato al gioco d’azzardo. In sostanza, in base alla posta in gioco e alle parti in causa nella scommessa il tema si può di volta in volta configurare come disputa teologica o filosofica, prova di fedeltà, impresa amorosa, patto, gioco o contratto con promessa di pagamento. Appartiene all’ultima tipologia il film cult Una poltrona per due (Trading Places) del 1983 di John Landis, interpretato da Dan Aykroyd, Eddie Murphy e Jamie Lee Curtis, riproposto per l’ennesima volta sugli schermi italiani durante le vacanze natalizie.

Mi è sempre piaciuto giocare a individuare connessioni (anche inconsce) tra opere diverse, per esempio nel celebre monologo di Roy Batty (qui) a mio avviso ispirato a Le bateau ivre di Rimbaud (come non notare anche l’assonanza tra il nome Roy Batty /rɔɪ ˈbæti/ e bateau ivre /bato ivʁ/, l’uno quasi anagramma dell’altro?), oppure le analogie tra Céline e Dostoevskij (qui), o nel ribaltamento operato da Match Point rispetto a Delitto e castigo (il protagonista del film rimarrà impunito). Ebbene, la storia di Landis mi ha sempre portato alla mente un racconto letto tempo fa in un libro edito nel ‘57 da Edizioni del dopolavoro che raccoglie i racconti di Mark Twain. Interessante la dedica a firma Giovanni Valente a tutti i dopolavoristi cui il libro veniva offerto gratuitamente. I dopolavoristi erano gli iscritti all’Enal, ente che si proponeva di promuovere l’impiego delle ore libere dei lavoratori con diverse iniziative in modo da: «combattere il processo di vanificazione che l’uomo moderno subisce nel lavoro a causa dei processi di spersonalizzazione e nel riposo per la vacuità degli svaghi commercializzati» (copio dalla quarta di copertina). L’ente, tra le altre cose, organizzava mostre, incontri culturali, gite, vacanze per gli iscritti, gratis. Il racconto è La banconota da un milione di sterline. La trama questa:

Henry Adams, uomo d’affari americano, reduce da un naufragio, si ritrova nella Londra vittoriana. Qui riceve da due ricchi fratelli una busta contenente una banconota da un milione di sterline. La banconota non può essere scambiata per un mese. I fratelli hanno fatto una scommessa: un fratello scommette che il semplice possesso basterà a far vivere il possessore della banconota, l’altro ritiene invece che sarà del tutto inutile. In realtà, ovunque Henry presenti il titolo, incontra difficoltà a ottenere il resto, tuttavia, l’impressione che produce è tanta che i commercianti, credendo di avere a che fare con un uomo ricchissimo, non lo fanno pagare. Così, presto Henry si rende conto di poter vivere di rendita. Intanto la sua fama si diffonde. Dei malviventi incaricano una finta donna delle pulizie d’introdursi nell’albergo dove il presunto milionario alloggia per verificare che ciò che si dice di lui sia vero. Invitato a cena dall’alta società londinese, Henry incontra Portia di cui s’innamora (ricambiato); a lei racconta la sua strana storia. C’è pure un amico di San Francisco venuto a Londra per affari. Grazie alla sua celebrità, Henry sostiene l’investimento dell’amico divenendo di fatto ricco. Dopo aver saputo della scommessa dei signori e scoperto che Portia è la figlia di uno dei due fratelli, Henry restituisce la banconota.

Ora la trama del film:

le vite di Louis Winthorpe III, agente di cambio di Filadelfia, e quelle di Billy Ray Valentine, senzatetto truffatore, vengono scambiate per via di una scommessa con implicazioni sociologiche fatta dai perfidi e ricchissimi fratelli Mortimer e Randolph Duke: uno afferma che la predisposizione alla delinquenza o al successo siano fattori genetici, l’altro invece sostiene che dipendano dall’educazione. In seguito alle azioni disoneste dei fratelli, Louis viene abbandonato da tutti e Valentine comincia a lavorare nella finanza. L’unica persona ad aiutare Louis è la prostituta Ophelia. Venuto a conoscenza dell’inganno, Valentine avvisa Louis. Alleandosi i due riescono a far cadere i fratelli in disgrazia. Per tutti gli altri ci sarà un lieto fine con un Louis e una redenta Ophelia innamorati a godersi la vita in una spiaggia paradisiaca.

Quindi, abbiamo due fratelli con una giovane parente che intrattiene una relazione col protagonista (nipote nel film, figlia nel racconto di Twain), c’è lo sfondo del mondo degli affari, una scommessa, una banconota (un dollaro contro un milione di sterline), uno squattrinato che si ritrova improvvisamente ricco, una donna ingaggiata per ostacolare l’uomo oggetto della scommessa (prostituta nel film, donna delle pulizie nel racconto), i nomi Portia (Il mercante di Venezia)/Ophelia che riportano al già citato Shakespeare e un lieto fine in cui trionfa la giustizia e tutto si appiana. Ovviamente, lo sviluppo narrativo nel film è diverso, come pure i temi suggeriti, per esempio le differenze razziali e sociali.

Probabile che l’autore del soggetto originale del film abbia letto il racconto di Twain – e non ci sarebbe nulla di male se così fosse –, oppure no. Fatto sta che le similitudini tra il film e il racconto sono tante. D’altronde, il concetto di proprietà intellettuale è recente. Prima si rielaboravano canovacci e si adattavano trame già esistenti senza farsi troppi problemi, specie nel caso di temi popolari, sia in musica che in letteratura. Lo stesso Shakespeare ha attinto a piene mani dal teatro e dalla novellistica italiana cinquecentesca in molte sue opere, ma questo è un argomento che per essere trattato con un minimo di cognizione di causa richiederebbe un articolo a parte. Intanto buon anno

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