Giulia Sottile è una di quelle amicizie sbocciate tramite la comune passione per la scrittura. Ho scelto di leggere e parlare del suo primo libro in primis perché mi piacciono i racconti e poi perché m’incuriosiscono gli esordi, specialmente quelli giovanili. Mi ha sempre colpito la precocità, soprattutto in campo letterario, la solida cultura e le letture che sorreggono una scrittura sicura e che, per ovvi motivi anagrafici, probabilmente si occupa di argomenti di cui si è più letto, immaginato, parlato che non sperimentato direttamente. Ma cos’è la narrazione se non finzione in forma di verità, o viceversa? Giulia comincia a coltivare il suo giardino fatto di letture importanti e scritture impegnate, un giardino variegato e rigoglioso, poco più che ventenne. Per farvi un’idea delle sue capacità, invito a leggere i suoi interessanti interventi di critica letteraria sulla storica rivista Lunarionuovo. Il suo mentore, se così posso definirlo, di quelli importanti: Mario Grasso. È lui che firma l’introduzione ad Albero di mele (Prova d’Autore, 2014) spalancando questo «scrigno di mele d’oro d’origine controllata. Prodotto esclusivo del Giardino delle Esperidi».
Il riferimento è classico: si tratta del giardino con il melo dai frutti d’oro che assicurano l’immortalità donato da Zeus alla moglie Era e custodito dal drago ladone e dalle tre ninfe Esperidi, figlie della Notte e di Atlante. Da quel giardino proviene la famosa mela della discordia che condusse alla guerra di Troia. Nella sua undicesima fatica a Eracle viene chiesto di coglierne i frutti. Eracle propone ad Atlante di aiutarlo, in compenso reggerà per lui il cielo. Ora, non è difficile accostare questo mito a quello del giardino dell’Eden, all’Avalon del mito di Artù o ancora alla fiaba di Biancaneve. Questo frutto prezioso sembra connettere il nostro mondo con l’altro, ovvero l’universo tangibile con quello sovrasensibile, ideale o ultraterreno, come fu probabilmente per quell’Albero della Vita da cui l’uomo non doveva assolutamente mangiare (Genesi 3:22). Avrebbe forse ottenuto l’eternità dopo aver raggiunto la consapevolezza data dall’infrazione del divieto di cibarsi del frutto dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male (Genesi 2: 15-17) che l’ha condotto al peccato originale? Siamo qui nel territorio del simbolico, strettamente connesso alla dimensione psichica, all’immaginazione, alla sfera irrazionale ed emotiva, tutti elementi per i quali l’autrice manifesta una chiara fascinazione e che caratterizzano fortemente questi racconti che spaziano tra tematiche spirituali e psicanalitiche di matrice junghiana (ipnosi regressiva, viaggi nel tempo, reincarnazione) mischiate alle suggestioni mitiche che virano ora al fantastico ora al fantascientifico.
Ho ritrovato in questa lettura ciò che apprezzo nella persona, con una conferma: Giulia ha stoffa, e umiltà, ciò che la farà arrivare, credo, a raccogliere i frutti più succulenti e inaccessibili dei suoi desideri. L’autrice ha consapevolezza dei suoi mezzi espressivi: sa come costruire una trama, maneggia con cura l’intreccio mantenendo unitarietà di stile e d’intenti. Gustose e precise le descrizioni, mai stucchevoli le enumerazioni, sempre centrato il punto di vista adottato, sia che venga reso in prima o in terza persona, da un personaggio maschile o femminile.
In questi racconti spesso complessi, sempre insoliti, dalla scrittura semplice e senza velleità, si parte spesso da un’idea principale che viene poi dilatata fino a tessere un ordito fittissimo, che va dalla confessione all’allucinazione. Il lettore viene catapultato nella mente di un personaggio, oppure guidato come spettatore dall’occhio curioso attraverso dialoghi filosofici, abbozzi di letture critiche. L’atmosfera si mantiene sempre delicata sia che si passi da una teoria fantascientifica eppure credibilissima, a un monologo o viaggio mentale, ovvero ad associazioni di idee come “flusso di coscienza”, pensieri in libertà esposti con grazia ed equilibrio.
Se racconti come Mythos e certe incursioni nello sci-fi mi hanno fatto venire in mente l’immaginario asimoviano, c’è una pulizia di linguaggio che potrebbe sembrare ingenuità senza esserlo, connotandosi invece come una naturalezza che fa pensare a certa scrittura al femminile (lungi da me addentrarmi nel dibattito se si possa parlare o meno di scrittura femminile!), per esempio quella di Banana Yoshimoto oppure, per rimanere nei confini nazionali, al carattere descrittivo e a tratti onirico dei romanzi di Elsa Morante e Anna Maria Ortese.
Sarà forse la sua formazione da psicologa, ma Giulia riesce ad andare a fondo di un carattere, di una situazione, di un pensiero con atteggiamento comprensivo e non giudicante esprimendo grande delicatezza e profondità, caratteristiche preponderanti di questa raccolta.
Così come gli interessi dell’eclettica autrice, spaziano pure i temi: l’amore, le relazioni di coppia, il mare, i miti classici, la maternità, il sogno, il maschile e il femminile, l’identità, la vita come viaggio affascinante e misterioso, le domande poste dalla fisica e dallo studio della psiche, l’epigenetica, il funzionamento della mente e il ricordo, il quotidiano dentro cui rintracciare quella scintilla d’infinito che forse è da ricercare all’interno del nostro cuore, non all’esterno. Oppure non c’è differenza tra dentro e fuori, prima e dopo: è tutto insito nel limite umano, limite superabilissimo. Non esiste verità che non possa essere messa in discussione. Questo credo sia il perimetro entro cui s’inscrive l’esercizio della scrittura e del pensiero tout court per Giulia: un continuo interrogarsi, risposte come ulteriori spunti, accogliere ogni suggestione senza mai porsi al di sopra delle domande. E poi quel giardino meraviglioso, da esplorare, violare se necessario, in cui, infine, perdersi.
Giusi Sciortino
[…] L’albero di mele di Giulia Sottile […]
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