Krankenhaus, l’urto dell’assenza

Avevo parlato di malattia e luoghi a essa connessi qui, tirando in ballo, tra gli altri, Gesualdo Bufalino con la sua Diceria dell’untore. Oggi propongo Krankenhaus di Luigi Carotenuto (Gattomerlino Edizioni, 2020). Una raccolta poetica – potrei definirla plaquette, vista la brevità –, che sembra raccogliere, sia nella predilezione per le tematiche esistenziali che nella forma (componimenti di folgorante concisione, sobri, giusto qualche allitterazione e rima sparsa qua e là, l’analogia che dà conto dell’esperienza interiore), la tradizione dell’ermetismo, quello ungarettiano, in particolare. Penso siano da rintracciare lì i maestri dell’autore. Il collante che amalgama le liriche facendone un tutt’uno organico, un libro dai chiari intenti poetici, è l’ospedale, non «pietroburghese residenza invernale» come recita con una punta d’amara ironia l’esergo, bensì luogo dell’anima dove, per impulso di un evento traumatico, presagio dell’assenza, o meglio «l’urto dell’assenza», si creano le fulminee composizioni della memoria, necessarie a elaborare il dolore della perdita. Temi importanti quelli che suggerisce Krankenhaus: la vita, la morte, la «bestiolina inoffensiva» chiamata solitudine. D’altronde, «La notte è davanti e alle spalle sempre in agguato».
Come informa la prefazione, la parola tedesca Krankenhaus, traducibile in Ospedale, sembrerebbe onomatopeica, richiamando, in effetti, il crac, il rumore di qualcosa che si rompe: un osso, un arto, forse. Un equilibrio, di sicuro, le nostre fragili convinzioni, proprio mentre siamo impegnati «nel trovare scuse / per tirare avanti, nel fingerci interi». Il dolore nella sua visione più fisica, reale, quello della creatura finita, il padre, con cui la voce poetica stabilisce un dialogo, viene reso tramite piccole visioni di luce, buio, solitudine, assenza. Sono i piccoli oggetti, gli elettrodomestici, i muti testimoni di un addio sofferto, lo specchio in cui guardare l’altro per rivedere se stesso, qualche incursione nel sé bambino, e ricordare l’amore che il padre ha insegnato ad accogliere e dare.

Giusi Sciortino

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