Do ut des? No, grazie.

Purtroppo, in ambiente lavorativo/ scolastico (ma non solo, ahimè) sono sempre stata vista come una secchiona, nessun autocompiacimento, sia chiaro. Alle elementari copiavano, e passi; alle medie i professori mi commissionavano murales, disegni, acquerelli, illustrazioni per opuscoli, un bel modo per non stare in classe, lo ammetto; al liceo le cose si sono complicate: avevo voti alti in tutte le materie (nessuna immodestia, è un dato di fatto) e c’era sempre qualcuno pronto a chiedere versioni dal latino (adesso completamente obliato) traduzioni in francese, temi d’italiano e ripetizioni di matematica, una rottura; ogni volta che dicevo di no, musi lunghi e stupore. All’università è andata meglio, il periodo del disimpegno, solo qualche partecipazione a gruppi di studio di linguistica generale/filologia; al lavoro ho cambiato settore (previo specifico master) e mi sono specializzata in compiti rognosi su excel/analisi dati non molto amati dagli altri colleghi: grazie a questo il lavoro non mi è mai mancato. Pensavo di essermi finalmente liberata da certe richieste, e invece no: mi chiedono siti web (cosa che so fare solo basicamente, tra l’altro), editing, libri! (scriveresti un romanzo a nome mio? incredibile la faccia tosta…), tutto gratis, ovvio. Tolgo dal computo i soliti personaggi alla perenne ricerca di prestiti a fondo perduto e posti letto (a Milano meglio farsi un mutuo). Tutto ciò per dire: il lavoro va pagato, di qualsiasi tipo, non si chiedono favori che equivalgono a lavoro, professionalità, tempo, l’amicizia non può essere usata per estorcere e sfruttare la disponibilità altrui. La gratuità è una scelta consapevole in chi la elargisce, non una pretesa da parte di chi la richiede. Certe cose si possono chiedere, ma senza insistenza, alcune non si chiedono affatto, altre ancora si possono chiedere ma non comprare. Basterebbe il buon senso? No, mi viene da dire. È questione di civiltà, educazione, rispetto.

In foto: fotogramma da “Le streghe di Eastwick”, 1987 George Miller.

6 commenti

      • Il problema è proprio che molti non lo vedono come un lavoro, cioè trovano del tutto naturale che una visita guidata sia gratuita in quanto svolta da un volontario che opera per l’amore per l’arte… In questo come in altri casi di cui hai parlato tu, non si vede o non si vuol vedere il lavoro che c’è dietro, oltre alla formazione e alla preparazione 😦

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      • Assolutamente d’accordo. Le competenze si pagano, anche quelle umanistiche. Bisogna imparare a dire di no. Nel caso che riferisci, tu parliamo di professionisti preparatissimi che non vedono riconosciuto il valore del proprio lavoro, tristissimo. Fosse per me abolirei pure lo stage non retribuito e l’alternanza scuola lavoro (penso quest’ultima cosa non ci sia più dopo gli eventi dell’ultimo anno)

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  1. Sull’abolizione dell’alternanza scuola lavoro concordo pienamente. L’ho sostenuta attirandomi le critiche dei colleghi abituati ad ingollare qualsiasi cosa pur di non avere fastidi con l’”autorità”.
    Complimenti per la tua scrittura “asciutta”, essenziale, efficace.

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