Un lettore, Il lettore.

Avendo avuto a che fare con parecchi operatori del settore editoriale, pur con le debite eccezioni ho constatato una certa fissazione nel conoscere e stabilire a priori il tipo di pubblico a cui lo scrittore debba rivolgersi, in modo da indirizzarne la scrittura, modulare toni e tematiche e, in definitiva, produrre qualcosa che sia massivamente fruibile dall’ipotetica sconfinata massa di lettori standard. Io credo che quest’idea di lettore ideale, essere fantastico oppure pupazzetto da manipolare, sia un mito da sfatare, che potrà pure avere qualche riscontro nella scrittura industriale, quella che fa grandi numeri e dispone di enormi database con lettori-dati da profilare, ma mi pare non abbia senso per chi si muove nell’ambito dell’editoria indipendente o della ricerca artistica tout court. Nella mia personale esperienza di scrittura – formatasi in ragione dell’esperienza di vita ma soprattutto di lettura – posso dire che la più grande ambizione sia, banalmente, quella di scrivere cose che piacciano a me, in primis e, di conseguenza, all’unico lettore che per caratteristiche, formazione culturale, esigenze e gusti immagino del tutto simile a me. Insomma, non penso al lettore quando scrivo. È giusto, è sbagliato? Per me va bene così e credo che esprimersi senza limitazioni sia la maniera migliore di vivere la scrittura. A ogni modo, dato che ogni autore è prima di tutto lettore, ritengo che qualche riflessione in merito sia lecito farla. Innanzitutto, cosa ci si aspetta dalla lettura?

Sicuramente potersi immergere in ciò che si legge per trarne piacere, divertimento, distrazione, intrattenimento, elevazione morale. C’è una stretta correlazione tra immersione e identificazione. Ovviamente, non si tratta di un’immedesimazione reale, quanto di quella immaginifica che trova appagamento nella finzione letteraria. Ciò significa che l’immedesimazione avverrà anche nel caso in cui il lettore, pur sentendosi lontano dal vissuto da cui la narrazione trae spunto – che appartenga o meno all’autore poco importa –, lo stesso sarà in grado di riconoscere il sistema di vita, conoscenze, valori rappresentato dall’opera. Di conseguenza, l’immedesimazione si attuerà con modalità diverse: “per prossimità” oppure “per distanza”.

Qualora il testo soddisfi l’esigenza di coerenza e credibilità che il lettore avverte implicitamente leggendo, si potrà sperimentare il riconoscimento dato dalla “conoscenza”.

In sostanza, se da un lato il lettore vuole (o non vuole) partecipare emotivamente al narrato divenendo parte attiva nell’interpretazione del mondo che l’autore ha definito, dall’altro chi scrive cerca di offrire al lettore ciò che questi si aspetta dall’esperienza di lettura tramite l’immedesimazione resa possibile dalla credibilità dell’opera.

C’è da dire che il ruolo Lettore e quello Scrittore s’influenzano e sovrappongono continuamente, in relazione alle aspettative dell’uno e agli scopi dell’altro.

Non posso fare a meno di pensare a una famosa poesia di Borges:

Gli altri si vantino per le pagine che hanno scritte;

io vado orgoglioso per quelle che ho lette.

Non sarò stato un filologo,

non avrò investigato le declinazioni, i modi, il laborioso

mutare delle lettere,

la d che indurisce in t,

l’equivalenza della g e della k,

ma nel corso degli anni ho professato

la passione della lingua.

Le mie notti son piene di Virgilio;

aver saputo e scordato il latino

è possederlo, perché anche l’oblio

è una forma della memoria, la sua vaga cava,

l’altra faccia segreta della moneta.

Quando si cancellarono ai miei occhi

le vane apparenze che amavo,

i volti e la pagina,

mi detti allo studio del linguaggio di ferro

che usarono i miei antichi per cantare

spade e solitudini,

e ora, attraversando sette secoli,

dall’Ultima Thule,

la tua voce mi giunge, Snorri Sturluson.

Dinanzi al libro, il giovane si impone una disciplina precisa

e lo fa in vista di un preciso conoscere;

ai miei anni ogni impresa è un’avventura

il cui confine è la notte.

Non finirò di decifrare le antiche lingue del Nord,

non tufferò le mani ansiose nell’oro di Sigurd;

il compito cui attendo è illimitato

e dovrà accompagnarmi fino alla fine,

non meno misterioso dell’universo

e di me, l’apprendista.

Ecco che qui si dà conto dell’incapacità di chi scrive a comprendere e penetrare il Tutto. Si può solo indicare un percorso, uno dei tanti immaginabili. Nulla è prevedibile, lo sforzo massimo è descrivere l’inconoscibile. Il tempo l’incognita obbligatoria da prevedere.

Offrire un’esperienza che vada oltre la lettura stessa, far avvertire una bellezza che esiste a prescindere da qualsiasi scopo e bisogno, indipendentemente da ruoli e funzioni, questa l’aspirazione più alta dell’opera letteraria. Al lettore l’approfondimento, potrebbe iniziare per esempio dall”’Ultima Thule” e dallo “Snorri Sturluson” evocati da Borges.

Giusi Sciortino

14 commenti

  1. Sono completamente d’accordo! Questa figura mitologica qual è il “lettore”, ci rende schiavi dell’accontentare l’altro e a che pro? Perdere quella sensibilità che da l’anima ai nostri scritti?

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