Santuario

Condivido qui un mio racconto pubblicato sull’ultimo numero di Lunarionuovo, n.106/53 nuova serie – Aprile 2021.

“Piove da giorni e spira un vento tagliente, si teme per i festeggiamenti, la festa di Alessandria della Rocca che chiude la stagione calda. Si preannuncia un pellegrinaggio uggioso, invece, inaspettatamente, il sole rischiara il cielo. Non sono credente, ma la tradizione ha una sua forza. Decido di andare. Mia madre non è convinta del mio abbigliamento, mi consiglia di mettere l’abito buono, quello lungo a fiori, l’unico che ho messo in valigia. Solo qualche tratto in salita, però lo stesso opto per le scarpe da ginnastica. La processione parte dalla chiesa madre. I fedeli si preparano al viaggio, due file ordinate accompagnano la banda. Ci sono anch’io, avanzo lentamente. Intanto una ragazza si sbraccia dal balcone, indovino il rumore dei braccialetti che tintinnano sul suo polso; chiama qualcuno, le leggo il labiale: verrà, più tardi – dice –, assieme ai figli.  Mi fa uno strano effetto trovarmi qui, è come se fossi catapultata in uno di quei sogni di me stessa bimba. Saliamo per via Giordano, fino alla cappelletta, il prete recita uno dei misteri gaudiosi, così mi pare di capire: «Madre Misericordiosa, Rosa Mistica, Fonte di gioia, Tempio dello spirito santo». Man mano che procediamo, le case si diradano, sparute villette, sullo sfondo il monte Culma, o Curma forse – non saprei –, e poi il ponte in rovina e un cavallo che galoppa a briglie sciolte. Mentre rincorro con lo sguardo il volo dei rondoni, respiro l’odore dell’erba di campo. S’intravede già il santuario, immerso tra pini e cipressi. Punto verso la rocca e immagino il lucido marmo miracoloso, storie di nobili e pastorelle. Sono una pellegrina distratta, ogni tanto mi fermo, strappo sfilacce di paglia e le arrotolo al dito. Al di sotto della scarpata un contadino curvo sulla terra molle raccoglie verdure ed estirpa erbacce. Mi accorgo del cane randagio dal pelo bianco e gli occhi cisposi che percorre sonnacchioso il sentiero costeggiato da agavi e arbusti in direzione della spianata. Affretto il passo e senza neanche rendermene conto arrivo. Ora la pietra squadrata, viva del romitorio domina la valle digradante, giù, in basso. Ogni cosa è come la ricordo, la facciata severa, la pallida statua, il convento adiacente, il parchetto e la tomba gentilizia. Imbocco la scalinata che conduce alla chiesa e mi segno la fronte. Sarà che c’è troppa gente oppure che ho la gola secca, ma indugio sul portale d’ingresso, in contemplazione del rosone iridescente. All’improvviso qualcosa mi attira, forse il verso del gufo, oppure il rosso che tinge un poco l’orizzonte. Torno indietro, m’inoltro nella trazzera isolata, gironzolo senza meta, infine alzo un poco la testa e in lontananza, tra cielo e terra, scorgo la linea del mare, netta. Ancora cammino e prego, da sola, fin quando scopro la fonte. È giusto uno zampillo, eppure non ho dubbi, non posso sbagliarmi. Dicono che curi gli infermi, colmi solitudini ataviche, lenisca sofferenze di spirito e corpo: davvero i miracoli sono sempre concessi, almeno a chi sa vederli. Bevo e una sensazione di pace mi pervade. Cerco di conservare ogni dettaglio del magico scorcio prima di tornare allo spiazzo. I fedeli adesso trasportano a spalla il piccolo simulacro coperto da un manto azzurro. Sono presa da una dolce mollezza, mi siedo sulla panchina accanto alla giovane donna che, protetta da un panno, allatta il figlio. Fermo su di lei lo sguardo e mi sembra di penetrare il mistero della divinità femminile, di coglierne finalmente il senso profondo.”

Giusi Sciortino

4 commenti

  1. Giusy, ma mi piacerebbe anche chiamarti con quel tuo diminutivo di “Giuseppina”, sarà che nei miei anni verdi, in inglese al massimo riuscivo a prendere un quattro, ma molto raramente, erano costantemente dei magnifici “3”.
    L’italiano è una lingua nobile e nel suo continuo divenire storico, ci permette di comunicare fatti, esperienze e anche sensazioni ed emozioni che essenzialmente appartengono al nostro interiore.
    Ho letto con molto piacere il tuo racconto, “Santuario”.
    Nel tuo raccontare, distinguerei due fasi.
    Il primo, i ricordi che hai dei luoghi, della tradizione religiosa relativa alla figura Mariana che per i dogmatici è certezza assoluta, ma non per altri , che cercano di ottenere una risposta a quella “Cosa” che divide il Nulla dall’Esistenza, ma credo che personalmente non riuscirò a concludere questo percorso di “Rivelazione” come nelle filosofie indiane si afferma.
    Il secondo, che più mi ha interessato, è quello onirico di qualcosa che definirei un tuo sogno, in cui di immergi in quelle cose che sembrano realtà ma che poi si scoprono appartenere alle evanescenze che la mente propone a te stessa e che sono solamente luci, colori, luoghi, dialoghi, che non esistono, o almeno crediamo nella loro ipotetica inesistenza.
    Poi i tuoi ricordi ti riportano nella realtà.
    Non conoscevo i tuoi scritti e mi ha fatto piacere leggerti.
    Arch. Domenico Scaglione
    Piccola nota storica/geografica:
    Le due colline nel cui impluvio, nacque Alessandria, si chiamano “Pizzo” e “Curma”.

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    • Gentilissimo Domenico, non posso far altro che ringraziarti per l’acuta lettura e per gli interessanti spunti.
      Ritengo che tu (permettimi di darti del tu :)) abbia colto perfettamente lo spirito
      del mio immaginare. Nessuna certezza, solo lo stupore di fronte alla bellezza della vita,
      l’elaborazione del ricordo e del vissuto fatto anche di tradizione, il continuo procedere per
      domande, piccole epifanie e ancora dubbi. La conoscenza è un percorso che non ha mai fine.
      La divinità femminile su di me esercita un grande fascino, da anni lavoro a un romanzo
      in cui tutte le suggestioni qui suggerite convergono. Spero tu abbia la voglia e la possibilità di leggerlo.
      Chi scrive instaura un dialogo con se stesso, i propri demoni, e, per finire,
      coi propri lettori, fossero anche una manciata. Ancora grazie, anche per la precisazione toponomastica ;).
      Cari saluti da Milano

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